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Questi disegni sono ribellione e amore.

Ribellione a Frank Lloyd, fondatore e padrone della Marlborough Gallery di Londra, uomo dalla fortissima personalità, che ha avuto l’esclusiva dei dipinti di Francis Bacon a partire dal 1958 fino alla sua morte.

Amore per Cristiano Lovatelli Ravarino.

Francis e Cristiano si incontrarono a Roma nel 1977, all’ombra di Balthus.

Il Barone Balthasar Klossowski de Rola, in arte Batthus, aveva convocato i propri amici a Villa Medici per salutarli nel momento in cui lasciava Roma e l’incarico di addetto culturale all’ambasciata di Francia.

C’era anche Francis Bacon e, al posto della madre, Cristiano.

Per Francis è amore e passione a prima vista. Per Cristiano è l’incontro di un giovane giornalista con uno dei geni della pittura del ‘900: una passione intellettuale.

Nasce una storia segreta, d’amore, di passione e di amicizia. Segreta perché Cristiano è un giovane giornalista di buona famiglia, e non può certo dichiarare la sua relazione con un uomo.

Forse proprio a causa della segretezza la loro è una storia che non finirà mai, perché mai Francis e Cristiano si lasceranno.

Cristiano continua ad avere un solo debito: a fine aprile ‘92 Francis va a Madrid a trovare il suo amante spagnolo. Sta male e viene ricoverato.

Dalla clinica Francis telefona a Cristiano e gli chiede di raggiungerlo a Madrid. Cristiano, esita e il 28 aprile 1992 Francis muore, da solo, lui, ateo, in una clinica gestita da suore.

“Non mi perdonerò mai di non essere corso da lui” ripete Cristiano, “lui, così generoso e disponibile con tutti, lasciato a morire da solo, anche da parte mia.”

A riconoscere il corpo morto di Francis Bacon andrà un suo vecchio amico: il pittore, critico e collezionista Horacio de Sosa Cordero, marchese argentino, a cui Bacon, senza che mai siano stati amanti, fece un ritratto e a cui regalò anche un dipinto, simile ad una delle sue “Turning Figure“.

La stessa persona che 18 anni dopo, visitando la mostra dei disegni di Francis Bacon esposti a Buenos Aires, li riconoscerà immediatamente come opere dell’amico scomparso, li collocherà nel tempo e indicherà i nomi delle persone in essi ritratte.

Ma torniamo a Francis e a Cristiano.

A Roma nasce un amore che, nonostante la segretezza che lo protegge, non può restare completamente nascosto. Cristiano rifiuta l’invito di Francis di andare a vivere con lui a Londra, ma, ogni volta che possono, si incontrano.

Horacio de Sosa Cordero, uno dei pochissimi ad essere ammesso nello studio di Reece Mews 7, ricorda di avervi incontrato Cristiano, presentatogli da Bacon come un giovane giornalista italiano e di averlo trovato subito molto simpatico.

Ricorda anche di aver visto nello studio di Francis Bacon a Parigi dei disegni identici a quelli della Collezione.

Oltre a Londra, Francis e Cristiano s’incontrano a Bologna, a Venezia, a Cortina d’Ampezzo, in Sicilia e a Parigi.

Sono in molti ad averli visti ed in tempi diversi: Horacio de Sosa Cordero a Londra, Carlo Gaggioli a Bologna, il Prof. Vincenzo Lucchese a Venezia, Gloria Zanella ed Elisa Menardi a Cortina d’Ampezzo.

Oltre a loro c’è, David Edwards, fratello di John, amante ed erede di Francis Bacon.

David Edwards non solo dice espressamente che i disegni sono di Francis Bacon, ma dal momento che li vide per la prima volta nell’autunno del 2007, è stato presente alle più importanti esposizioni che si sono fatte in Europa: la sua testimonianza è quella di una persona che ha frequentato Francis Bacon per oltre vent’anni e che, nonostante non sia un esperto d’arte, sa riconoscerne il segno e la firma e, unico tra i suoi amici “intimi” ancora viventi, può collocare la storia di Cristiano all’interno della vita di Francis, verificandone la fondatezza.

E infatti Davis non ha dubbi: Cristiano è stato, come egli dice, “a lover of the poor Francis” e i disegni sono con certezza stati fatti da Francis Bacon e la firma è certamente la sua.

Che vi sia stata, quindi, una lunga relazione tra Francis Bacon e Cristiano Lovatelli Ravarino è storicamente provato.

I disegni fanno parte di questo rapporto.

Ma in che modo vi si inseriscono?

La risposta è molto semplice: essi sono parte della vita “segreta” di Francis Bacon e dei rapporti con le persone che vi entrano: non è un caso che quelli che sono apparsi man mano nel tempo, appartengano tutti ai suoi amici più cari, come Paul Dunquah e Steven Spender.

O a persone che lo aiutavano nella quotidianità, come il tuttofare Barry Joule.

E’ certo che Bacon abbia regalato ad alcuni suoi amici dei dipinti: non solo a Horacio de Sosa Cordero ma anche ad altri che, come nel caso del proprietario del dipinto “ Two figures in movement” del 1959, preferiscono restare anonimi, per non rivelare la loro liaison con il pittore irlandese.

Tuttavia i disegni donati a Cristiano non sono solo il regalo fatto ad un amico e amante particolarmente caro: per la loro qualità e per il loro numero sono, come abbiamo detto, ribellione e amore.

Ma sono anche una confessione e una sfida e, forse, una beffa postuma.

Confessione che la sua pittura è frutto di uno studio metodico alla cui base c’è una mano educata al disegno, prima quello tecnico, poi dopo aver visto a Parigi, alla Paul Rosenberg Gallery, la mostra di 101 disegni di Picasso, al disegno artistico : era il 1927 e Francis Bacon aveva 18 anni.

Sfida verso tutti coloro che non hanno mai capito che la sua arte è il prodotto di una profonda riflessione sull’essere che parte dalla filosofia e dal teatro greco e arriva fino ad Haidegger e al suo “ Essere e tempo”.

E, soprattutto, che essa è il frutto di uno studio e di una disciplina passata attraverso la sperimentazione delle principali tecniche che consentono ad un artista di esprimersi, prima fra tutte il disegno.

Infine beffa: dopo avere fatto credere che la sua pittura non ricorre al disegno preparatorio e che egli non ha mai disegnato, donando a Cristiano centinaia di disegni, ha voluto chiarire al mondo che se anche fosse vero che i suoi dipinti non ricorrono allo schizzo preparatorio, il disegno ha una parte importante nella sua arte.

Ogni volta che parlo di questa sua beffa postuma, penso a come posse essersi sentito David Sylvester nell’apprendere da Barry Joule di avere trovato sparsi sul pavimento dello studio di Reece Mews 7 oltre 1400 disegni di varie dimensioni, e quanti ostacoli ha dovuto superare per ammettere, prima di tutto a se stesso, di non essere stato “entirely truthful “ con Francis Bacon durante le interviste successive al 1962 nelle quali – è sempre Silvester che parla “ I courteously refrain from mentioning a series of small pencil sketches for paintings which I had seen in the endpapers of his copy of a paperback edition of poems by T.S.Eliot. However, I had been gullible enough not to have realized that these were but a tip of an iceberg”.

Bacon quindi disegnava ed è certo che le persone a lui più vicino come David Sylvester lo sapevano e sapevano che la sua produzione era copiosa al punto che quella che essi avevano potuto vedere era solo “ the tip of an iceberg”.

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Non si capisce, quindi, come possano esistere ancora persone che vogliono restare legate all’immagine di un pittore che non disegnava, che cercano disperatamente di non prendere atto di una verità certificata per non dovere smentire se stessi e i propri mandanti, chiunque essi siano.

Non è vero che Francis Bacon non disegnasse: egli disegnava da sempre e disegnava moltissimo e i disegni donati a Paul Dunquah, a Steven Spender, a Cristiano Lovatelli Ravarino e a altri, compresi quelli raccolti da Barry Joule nel suo studio, sono un materiale prezioso, da studiare con mente e cuore libero, senza lasciarsi fuorviare da falsi pregiudizi.

Ma torniamo alla storia dei disegni.

Bacon, come è noto ritrae innanzitutto sé stesso, la sua “pudding face”, come definiva i suoi autoritratti parlando con Horacio de Sosa Cordero. Com’è noto Bacon non voleva che nessuno fosse presente mentre dipingeva e al posto dei modelli utilizzava fotografie.

Oltre alla sua ossessione per l’Innocenzo X di Velasquez, che dichiarava di non avere mai visto dal vero e che ha ripetuto quarantacinque volte; oltre la copiosa serie di autoritratti, Bacon dipingeva i suoi amici e le sue amiche: George Dyer, John Deakin, Peter Lacy, Lucien Freud, Michel Leiris, Muriel Belcher, Herietta Moraes, Isabelle Rawsthorne, John Edwards.

Nei disegni fa lo stesso: numerosi sono infatti quelli che ritraggono la sua “ pudding face”; altrettanto numerosi sono i disegni di “Papi” e i ritratti di Cristiano, nei quali talvolta è inserito un curioso acronimo: FCRAINS o FCRAINSCTIIS.

Numerose sono le sue crocifissioni a riprova che con questi disegni egli rivisita l’intera sua produzione pittorica e, in alcune sue opere, migliora nel disegno la qualità dei sui dipinti.

Ci sono, infine, i disegni che ritraggono le sue amiche: Muriel Belcher, la proprietaria del Colony Room di Soho, e uno, particolarmente importante, perché ritrae il viso di Isabelle Rowstorn, nella stessa angolatura che si ritrova in una delle sue fotografie, senza alcuna distorsione, eseguito con una matita dalla punta dura e molto sottile.

Fin dall’inizio Francis parla a Cristiano del suo grande mito: Michelangelo.

Pensando a Michelangelo, Francis vuole provare a scolpire.

Chiede aiuto a Raymond Mason, uno scultore franco inglese, ma smette immediatamente.

Non potendo scolpire riprende a disegnare: un percorso inverso a quello di Giacometti, suo grande amico, i cui disegni sono la trasposizione sulla carta delle sue sculture.

In molti dei disegni che Bacon dona a Cristiano l’influenza di Giacometti è evidente.

Francis Bacon riprende quindi a disegnare. Si noti: riprende, non inizia.

Egli disegnava infatti fina da quando era molto giovane.

Non faceva solo l’interior designer di successo: basta leggere il libro di Daniel Farson – The gilded gutter life of Francis Bacon – per sapere che all’epoca in cui egli viveva a Chelsea, 1 Glebe Place una sua “inquilina” ed amica, Mollie Craven, lo ricorda piegato su di una pila di fogli mentre esegue disegni al carboncino, “simply roughing them out“.

Mollie ricorda che Francis appoggiava i pesanti e costosi fogli sul pavimento, strappando intere risme di carta sulle quali aveva realizzato disegni che non gli piacevano ed una volta alla settimana raccoglieva e gettava tutto nella spazzatura.

Era il 1937 e Bacon aveva 28 anni!

 

Ma oltre alle letture ho ricordi personali da riferire, circostanze di cui sono stato testimone sia pure indiretto.

Tre anni fa, mentre pranzavo assieme a Cristian Maretti, nel Ristorante La Brasserie di Milano Marittima, Claudio Plazzi, che ne era il gestore, mi ha raccontato di avere conosciuto Francis Bacon e di averlo visto disegnare.

All’inizio degli anni settanta Claudio lavorava come cameriere a Londra, in un ristorante italiano di Soho dove spesso Francis Bacon andava a pranzo.

Claudio ricorda che quando sparecchiava il tavolo dove Bacon aveva mangiato, trovava i tovaglioli di stoffa pieni di disegni: ne aveva parlato con il proprietario, che tuttavia tollerava questo vezzo d’artista e che in seguito, ne sono certo, si è amaramente pentito di averli mandati in lavanderia.

A dispetto di quello che Bacon diceva di se stesso, e, soprattutto, di quello che continuano a dire suoi fans, egli disegnava dovunque, come fanno ed hanno sempre fatto i pittori.

Non ci si deve quindi stupire se negli ultimi quindici anni della sua vita, quelli in cui Francis e Cristiano si sono frequentati, il disegno diventa sempre di piu’ un “altro” mezzo per esprimere la sua arte, un modo per rinnovare il proprio talento, per rifare le cose che gli erano riuscite male o, semplicemente, per rivisitare i temi del passato.

Non è mio questo giudizio, ma di Edward Lucie Smith.

Un mezzo che egli tiene segreto a tutti tranne che a Cristiano che, anzi, viene coinvolto direttamente. Francis gli chiede di procurargli la carta su cui disegnare: in particolare quella della cartiera di Fabriano che egli ama molto e dalla quale, prima di avere capito che non si tratta di una forma di pubblicità, taglia il timbro a secco che si trova sull’angolo destro in basso di ogni foglio.

Quando è in Italia, Bacon porta spesso con sé una cartella di disegni, e succede che ne regali qualcuno alle persone che gli sono simpatiche: come Gabriella Pezzoli detta Bebella che, trovandosi una sera del 1983 all’Osteria dei Poeti di Bologna dove era capitato anche Bacon, ne ricevette uno in dono, come tributo alla sua allegria.

Un disegno pubblicato nel catalogo della prima mostra dei disegni fatta a Venezia in occasione della Biennale del 2009.

È il suo modo di sentirsi libero eseguendo un’arte “a la maine” o, in senso proprio, “a la carte”, al di fuori del controllo ossessivo e ossessionante di Frank Lloyd e di Valerie Beston.

Valerie che, pur essendo innamorata di lui, è la lunga manus del suo dominus, quel Frank Lloyd che egli vorrebbe lasciare senza mai riuscirci. Quella stessa Valerie Beston che mente ripetutamente dicendo e scrivendo che Francis Bacon mai si è mai recato a Bologna e che quindi non può avere conosciuto Cristiano e per questo mai ha potuto regalargli disegni che mai ha fatto. Mi dispiace che Miss Beston sia morta prima di avere potuto ascoltare i numerosi testimoni che dicono l’opposto – Horacio de Sosa Cordero primo tra tutti – e leggere ciò che Sir. Danis Mahon ha scritto all’Assessore alla Cultura del Comune di Cento, in provincia di Bologna, in occasione della mostra Bacon-Guercino tenutasi nell’estate del 2010 e curata, oltre che da Edward Lucie Smith, da Vittorio Sgarbi e da Antonello Trombadori con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali della Repubblica Italiana.

Cento è il paese natale di Guercino, che oltre ad essere un grande pittore è un grandissimo disegnatore, e lì si trova la Pinacoteca che raccoglie numerose sue opere.

Come è noto Sir. Danis Mahon è uno dei massimi esperti mondiali di Guercino, del quale ha curato importantissime mostre.

Negli anni settanta ne ha realizzate alcune alla National Gallery di Londra ed egli ricorda che in occasione di una di quelle mostre incontrò Francis Bacon che si mostrò molto interessato all’opera del pittore centese e gli disse che si sarebbe recato a Bologna dove talvolta andava e dove aveva un amico.

A provare l’interesse di Francis Bacon per Guercino c’è un suo disegno, esposto nella mostra Bacon-Guercino, tenutasi nel 2010 che riproduce uno dei disegni “ grotteschi” del pittore centese.

Personalmente ricordo ancora l’interesse con cui Sir. Danis Mahon, nella sala da te della Tate Britain Gallery di Londra, accompagnato da una signora, da Nicolas Turner, suo allievo ed erede, e dalla moglie di quest’ultimo, in un tardo pomeriggio del mese di maggio 2010, guardando i disegni di Francis Bacon che gli avevo portato, li toccava per cercare di capire con le dita, oltre che con gli occhi, il significato profondo del linguaggio grafico dell’artista irlandese, di quei solchi che egli aveva lasciato sul foglio.

Ricordo le sue mani bianche e scarne, legnose ma leggere, sapienti verrebbe da dire, toccare le ferite della carta, le sofferenze causate dalla penetrazione della matita entrata a lacerarne il tessuto superficiale, senza perforarlo ma solcandolo.

Di come cercava di leggere e capire quel linguaggio morse, fatto di punti e tratti, notato per la prima volta da Giorgio Soavi, che vi aveva trovato una corrispondenza con segni identici presenti in quasi tutti i dipinti di Bacon, a cominciare da “ Figure in landscape” del 1945.

E che poi tornano nella sua produzione successive come ha dimostrato la grafologa Ambra Draghetti: ovviamente non in tutti, ma tutte le volte che ve n’è bisogno per sottolineare un sopracciglio, la curva del naso o del mento, per mettere in evidenza un cerchio inserito per dare profondità o per alleggerire la tela.

Giorgio Soavi – romanziere e poeta, critico d’arte, amico di Sutherland, di De Chirico, di Balthus e di tanti altri artisti sui quali ha scritto libri memorabili – aveva per primo studiato e capito i disegni segreti di Francis Bacon.

Al punto che, nel 1998, anche per rispondere agli scettici di turno che non volevano accettare la verità della loro comparsa, aveva scritto su di essi un romanzo dal titolo “Viaggio in Italia di Francis Bacon.

Romanzo giallo”, sostenendo una tesi suggestiva e garbatamente provocatoria: se questi disegni non sono di Francis Bacon sono di un Francis Bacon rinato!

Giorgio Soavi e Sir Denis Mahon non ci sono più.

Restano nella mia memoria le tantissime conversazioni con un amico, Giorgio Soavi, e le fortissime impressioni di un pomeriggio passato a prendere il te alla Tate Gallery in compagnia dei disegni di Francis Bacon e di Sir. Danis Mahon, pochi mesi prima che egli, dopo avere compiuto cent’anni, morisse.

Sono certo che in qualche parte dell’eternità e dell’universo che rende tutto contemporaneo, essi ogni tanto parlino di questi disegni con Francis Bacon, divertendosi nell’osservare lo scompiglio che la loro comparsa ha provocato nel mondo dei critici e dei mercanti d’arte, soprattutto di quelli farisaici che Francis Bacon ha sempre detestato e che oggi si ergono a custodi di una ortodossia che hanno inventato a loro uso e consumo, o, meglio, a uso e consumo degli affari milionari dei loro committenti.

Arte e affari, as usual.

E’ tempo di chiudere questo intervento, già troppo lungo.

Vorrei farlo con una osservazione che mi sta particolarmente a cuore.

Sui disegni donati a Cristiano Lovatelli Ravarino da Francis Bacon, è stata fatta fin dall’inizio una scelta precisa: si è deciso di farli conoscere senza nascondere nulla della loro storia in modo che possano essere liberamente giudicati.

Per questo, sette anni fa, abbiamo iniziato a farli girare per il mondo.

Da Venezia sono andati a Zurigo, poi a Milano, Buenos Aires, Evora in Portogallo; quindi a Berlino, Parigi, Santiago del Cile.

Sono stati esposti due volte a Londra, una a Taiwan, al Kaushiung Museum of Fine Art, e a Praga, alla Gate Gallery; a San Paolo del Brasile e nuovamente a Londra. Quindi a Lugano e a Trieste.

Poi a Treviso a Madrid, a Valencia e a Avilés, al Centro Niemeyer : un tour ricco di incontri che ha dovunque suscitato interesse e ha provocato dibattiti e discussioni, confronti che, talvolta, si sono trasformati in veri e propri scontri culturali.

Vorrei tranquillizzare i “ critici militanti”, non quelli che lavorano per la “ cultura”, che sono liberi, ma quelli che lavorano per il mercato e che hanno i vincoli che da esso derivano.

Vorrei dire loro che questi disegni sono innocenti.

Sono opere immuni alle critiche pregiudiziali che vengono loro rivolte per una ragione banale: sono, per ora, sottratte al mercato, destinate a suscitare, come ho detto, riflessioni e confronti sui mezzi e sui contenuti della storia di Francis Bacon, uno dei più grandi artisti del XX secolo. Un secolo che se è stato, come scrive Eric Hobswbaum “ un secolo breve”, non è certamente stato un secolo avaro di avvenimenti, compresi quelli che hanno sconvolto il mondo dell’arte e dei quali Francis Bacon è stato parte. Disegni che non appartengono solo alla sua storia artistica, ma a quella della sua vita, e che sono messi in mostra per affermare innanzitutto la verità della loro esistenza facendosi guardare; per fare discutere di se stessi e di un intellettuale profondo che ha usato la propria mano non per scrivere saggi di filosofia – come aveva fatto secoli prima un suo omonimo antenato, quel Sir. Francis Bacon che in molti pensano sia il vero Shakespeare – ma per creare immagini che ne sono un compendio.

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Bacon dipingeva e disegnava.

Di lui si può dire quello che egli disse di Philippe Sollers, critico d’arte francese, suo conoscente, che nel 2001 ha scritto un bellissimo libro su “ Le passioni di Francis Bacon”. A proposito di un saggio sulla pittura di Fragonard, Bacon disse che Sollers “ scrive su Fragonard come Fragonard dipinge”.

E noi, seguendo questa metafora e cercando di cogliere l’essenza non solo di un grandissimo artista ma di un intellettuale acutissimo, possiamo dire, rubando le parole allo stesso Sollers, che Bacon dipinge e disegna “come la musica suona, come la scultura scolpisce, come la danza danza, come la parola parla e come la scrittura, se è libera, scrive”.

Le tele e i disegni di Bacon “ gridano al tempo”, non rappresentano l’orrore, come qualcuno afferma, ma il “grido” come egli stesso diceva.

Un grido che esce da una bocca che è corpo, perché per Francis Bacon come per Nietsche, “ il corpo è una grande ragione” … “strumento del tuo corpo, tale è anche, fratello mio, la tua piccola ragione che chiami spirito, piccolo strumento e giocattolo della tua grande ragione”.

Che è appunto il corpo.

Per questo, “ un ottimista sul nulla” come Francis Bacon definisce se stesso, può deformare volti, aprire bocche in grida insieme umanissime e sovrumane, sperimentare posizioni di corpi che, prima di lui, solo i pittori italiani del rinascimento avevano osato dipingere in posizioni sottratte a qualsiasi principio fisico, suscitando la sua invidia per una libertà che derivava loro dalla convivenza con il sovrannaturale, per lui e per la sua epoca impossibile.

Solo un intellettuale integrale come Francis Bacon può usare la sua mano come strumento della grande ragione e raggiungere attraverso i segni, i colori, le immagini la “sensazione” che “essere e tempo” sono strutture fondamentali che toccano tutti e ciascuno, consapevolmente e inconsapevolmente e che si possono sintetizzare in un segno che si pone su una tela o su un foglio che va direttamente a colpire lo stomaco di chi lo guarda.

Umberto Guerini