Corriere della Sera – 22 Febbraio 2020

L’appuntamento Il Tefaf di Maastricht analizza un fenomeno che sostiene sempre di più l’arte del XXI secolo

Per Ezra Pound, il poeta statunitense innamorato dell’Italia, il mecenate era, in fondo, un artista in altra forma. Anche lui «sta costruendo dell’arte nel mondo; egli crea», diceva. «Il mecenate ha la possibilità di creare cultura e farla crescere. Non si tratta solo di sostegno economico, ma di realizzare e mettere a disposizione della società qualcosa che senza quel contributo non sarebbe stato possibile», concorda Elena Tettamanti, presidente dell’associazione milanese Amici della Triennale, felice espressione di un nuovo modello di mecenatismo, «dal semplice funding a impresa culturale», diventato un case study nelle aule delle università italiane, dalla Luiss di Roma alla Bocconi di Milano.

Tema attualissimo quello del Mecenatismo dell’Arte nel XXI secolo, oggetto del Tefaf Art Market Report 2020. Uno studio redatto da Anders Petterson — fondatore di ArtTactic, la più importante società di analisi del mercato dell’arte —, che sarà presentato venerdì 6 marzo in occasione della nuova edizione di Tefaf Maastricht e scaricabile dal sito ufficiale a partire dalle ore 10 dello stesso giorno.

Uno studio che analizza i contributi privati alle arti visive («nel 2018 negli Stati Uniti hanno raggiunto la somma di 292 miliardi di dollari»), concentrandosi sui trend filantropici di millennial e post millennial. Generazioni legate a quella pratica di microfinanziamento collettivo che è il crowdfunding, esploso nell’ultimo decennio grazie al web, ma nato in realtà più di un secolo prima.

Nel 1885 il New York World, primo quotidiano degli Stati Uniti, di proprietà di Joseph Pulitzer (che darà nome al prestigioso premio giornalistico), lanciò una sottoscrizione pubblica per finanziare basamento e installazione della Statua della Libertà, dopo che il comitato preposto all’impresa non era riuscito a raccogliere che metà della somma necessaria: 150 mila dollari a fronte di 300 mila. L’iniziativa portò in cassa qualcosa come 100mila dollari. «L’atto di donare porta con sé infinite potenzialità. E aumenta il senso di appartenenza, di partecipazione, di coscienza collettiva», aggiunge Tettamanti.

L’Art Market Report esplora, inoltre, quelli che Petterson chiama nuovi «ecosistemi di mecenatismo», adottati anche in mercati emergenti quali il Mali (African Culture Fund) e il Bangladesh.

Dalle iniziative lanciate da artisti al supporto di aziende, fino alle collaborazioni tra pubblico e privato. Un esempio, in casa nostra, l’accordo siglato nel 2016 tra il Mibact e la Fondazione Torlonia. Che dal 25 marzo prossimo, nella nuova sede espositiva dei Musei Capitolini a Palazzo Caffarelli, nel cuore di Roma, rende nuovamente fruibile, quale patrimonio universale, parte della raccolta privata di statuaria greco-romana più prestigiosa del pianeta. Novantasei pezzi, restituiti all’originaria giovinezza dal restauro sostenuto dalla maison Bulgari, già artefice del salvataggio del mosaico policromo della palestra occidentale delle Terme di Caracalla.

La stessa Tefaf si è fatta mecenate, supportando ogni anno tre progetti di conservazione artistico-culturale nel mondo. Destinatari del Tefaf Museum Restoration Fund 2020 (pari a 50 mila euro complessivi), il Victoria & Albert Museum di Londra per il restauro del Kaufmann Office (1935-37), progettato da Frank Lloyd Wright per Edgar J. Kaufmann, proprietario della Casa sulla cascata, e il Los Angeles County Museum (Lacma) per il risanamento della Pietà (1710-20 ca.), dipinto a olio di recente acquisizione a firma di Melchor Pérez de Holguín, primo artista boliviano a entrare nella collezione d’arte coloniale del museo.

E in collaborazione con il Prince Claus Fund (istituito ad Amsterdam in onore del consorte della regina Beatrice d’Olanda per preservare il patrimonio in pericolo), Tefaf supporta quest’anno gli Archivi Nazionali di Suriname, con la finalità di sviluppare piani di gestione delle emergenze nella fatalità di disastri ambientali.

Beba Marsano – Corriere della Sera