5 Novembre 2015 – CORRIERE DEL VENETO

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Fosse un romanzo giallo, racconterebbe di un intrigo internazionale sull’asse Londra- Treviso. Una storia di amanti, di soldi e di quadri che non trovano pace e identità. Nonostante sentenze di tribunali ed expertise. Ma questo non è un racconto, è una mostra d’arte. Anzi: l’evento artistico più importante che sia capitato a Treviso negli ultimi anni, «El Greco». E proprio qui, tra le pareti dei Carraresi si consuma questo giallo. Nel mirino due disegni di Francis Bacon (un pastello collage e uno a matita, entrambi su carta Fabriano di 100×70 centimetri) che sono da anni al centro di una feroce discussione. Sono attribuibili all’artista di Dublino oppure no? Prima di rappresentare gli interessi di parte, serve mettere alcuni paletti. Il primo: tra il 1975 e il 1992 Bacon viveva tra Londra e Parigi, ma spesso passava l’estate in Italia. Qui conobbe Cristiano Lovatelli Ravarino, scrittore chiacchierato anche per i rapporti che intratteneva con la Cia. «Siamo stati amanti», diceva. Di fatto, alla morte di Bacon comparì un corpus («i disegni italiani») di circa 500 opere che oggi compongono la Francis Bacon Foundation di Bologna.

Il secondo paletto è quello relativo alle contestazioni. Sono scesi in campo periti calligrafici, si sono espressi critici, sono stati organizzati convegni. Rimane solo una certezza: sono lavori tutti simili, e tutti completamente diversi rispetto alla produzione di Bacon, sia per grandezza che per stile. Inoltre, sono tutti firmati. Tra i vari attori titolati a parlare, però, forse la voce più forte quella della «Francis Bacon Estate», l’istituzione ufficiale inglese che tutela l’artista, che non riconosce come autentici i disegni. Il terzo paletto è quello delle sentenze dei tribunali che si sono espressi attorno alla vicenda. Quello di Bologna l’8 luglio 2004 stabilì che «nessuno può dire che siano falsi». Il tribunale di Cambridge il 31 maggio 2012 andò però oltre. «Sei di quei disegni sono contraffatti». C’è poi un intervento dei carabinieri, nel 2014, che sequestrarono alcuni disegni dopo la denuncia dei galleristi Pascual Jordan e Marilena Graniti. Le opere sono ancora in mano ai militari. Fatte queste premesse, il resto è la narrazione di un giallo. Andrea Brunello, titolare di Kornice, la società che organizza la mostra, è furente. «Ci contestano solo perché siamo al centro di una battaglia economica», tuona. «Immaginate se le 500 opere italiane fossero vere. Vengono stimate il 10% rispetto ad un dipinto di Bacon, ossia due milioni l’una: gli inglesi vogliono solo difendere il loro mercato».

Lo spalleggiano i critici del suo comitato scientifico. Lionello Puppi, in primis: «Confondono la storia dell’arte col gossip. Noi abbiamo spiegato la complessità dell’artista, chi ci accusa è malevolo». Incalza Serena Baccaglini: «La sentenza di Bologna ha efficacia in ogni paese del mondo che abbia sottoscritto trattati internazionali sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie». Ma tra gli esperti c’è malumore. Marco Tonelli, uno dei massimi conoscitori in Italia di Bacon non ha dubbi: «Hanno ragione gli inglesi: l’attribuzione è discutibile ». E cita fonti autorevoli: «Tate Gallery e Beyeler già tra 2003 e 2004 per varie ragioni non si sono resi disponibili a fare commenti in merito alla autenticità o meno dei disegni di Lovatelli Ravarino», dice. «Ma va oltre Martin Harrison, che sta curando la pubblicazione del catalogo ragionato (in uscita nell’aprile 2016, ndr) delle opere di Bacon per conto del Bacon Estate di Londra».

A sostegno di queste tesi studiosi del comitato scientifico del Bacon Estate: Hugh Marlais Davies, direttore del David Copley, museo di arte contemporanea in California, che aveva conosciuto Bacon negli anni Settanta, Norma Johnson e Sarah Whitfield storica dell’arte, membro del Comité Magritte. Tonelli poi incalza, dopo aver citato la sentenza di Cambridge. «Per sillogismo, se sono false sei opere, allora non è escluso che anche tutte le altre cinquecento lo siano ». L’ultima pagina del romanzo dovrebbe svelare gli arcani del mistero. In questo caso, però, il giallo non ha soluzione. Tenta perciò la mediazione Philippe Daverio, storico dell’arte e docente, volto noto della televisione italiana. «Attorno a Bacon ci sono tante leggende, anche quella che disconobbe delle opere vendute ad un mercante che poi non gliele pagò», chiude. «Io, onestamente, quando dipingeva non ero presente. E se fossi al posto dei curatori trevigiani terrei le opere esposte spiegando le contraddizioni. E che sia il pubblico a decidere».

Mauro Pigozzo Corriere del Veneto